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La definizione di un contesto
Studio sui possibili significati e le implicazioni delle “distanze”
1.2 - Il contesto “antropologico – culturale”Per compiere una indagine seria in queste direzioni, dovremmo provare a definire i possibili caratteri peculiari dell’esperienza della “marginalità” dai centri e poi riflettere su come è stato ed è vissuto il rapporto con il territorio da parte degli artisti. L’analisi di questi rapporti ci può portare a capire come possano agire in loro quegli specifici rimandi “antropologico – culturali” di cui parlava Crispolti nel 1987 (1) e che nello stesso testo, riconosceva essenziali per iniziare per rileggere la storia dell’arte contemporanea attraverso la disseminazione delle esperienze nei centri cosiddetti minori (2).
Studiare e valutare l’essere appartenuti o l’appartenere ad una regione o ad un territorio,
non solo è legittimo, ma è indispensabile per chiarire le reali dinamiche che si sono mosse e si muovono nel singolo artista, in relazione con una specifica
cultura di provenienza e formazione o anche per capire le relazioni e gli apporti specifici del singolo a questa o quella “scuola” o corrente espressiva
alla quale ha inteso relazionarsi. Le “scuole” o le “tendenze espressive” tendono ad emergere per opera di astrazione teorica dei “critici”, all’interno
di un cosiddetto “centro maggiore” e si impongono per via della rilevanza che possono avere agli occhi dei “media” che ne ridiffondono gli esiti come se essi
fossero effettivamente propri di quel contesto: in realtà “scuole e tendenze” qualora non siano frutto di operazioni di marketing, si formano con apporti
diversi e non sono mai completamente “autoctone” e spesso dei consistenti apporti o delle specifiche declinazioni provengono o maturano in contesti ambientali differenti.
Come si definisce un “contesto antropologico – culturale”? La domanda riguarderebbe innanzitutto, gli antropologi che affrontano la conoscenza della cultura come prodotto complesso di storia, ambiente, economia, società e individualità. L’attività artistica è comunque un’espressione di “cultura” e nelle sue relazioni specifiche riguarda gli storici dell’arte che ne studiano articolazioni e relazioni nel tempo e nello spazio. Per il fatto di non essere antropologi, non possiamo permetterci di provare a ricostruire o a definire gli elementi oggettivi di una cultura ma da storici dell’arte, possiamo provare a puntualizzare alcuni elementi di una attività creativa analizzando le relazioni con cui essa si è posta verso i fenomeni macroscopici dell’arte nazionale e internazionale che storicamente, sono meglio definiti. Metodologicamente credo che nel nostro contesto storico e sociale vada fatta grande attenzione alle modalità del rapporto centro – provincie, e per
comprendere come procedere in questa direzione, mi riferirò ad un caso che mi è capitato di studiare nei dettagli curando un (credo) importante volume sull’arte
della mia regione di residenza In questo caso ho cercato di evidenziare i rapporti “storici” con i centri culturali maggiori da parte degli artisti più significativi e in seguito che ruolo e cosa gli artisti sembrano aver assimilato di essi e come lo hanno riportato in rapporto al territorio, alle sue tradizioni ai suoi colori, alla sua letteratura. Ho poi
cercato di considerare il rapporto che questi stessi artisti hanno scelto con il proprio territorio di origine: abbandono, ritorno, nostalgia, dimenticanza, rimozione, esaltazione ecc. Ho anche considerato come e perché alcuni siano riusciti a conquistare un riconoscimento nazionale e se le qualità in loro riconosciute possano essere rintracciabili nel contesto culturale di formazione
o di relazione. Ho comparato le storie, le scelte e i percorsi e ne ho desunto un certo quadro che qui sintetizzo all’estremo ma che vorrei un giorno comporre con una attenzione maggiore
Il “caso Abruzzo” mi si è presentato in una sua indubbia originalità rispetto
ad altri contesti: una regione che ha vissuto (culturalmente parlando) in modo
sin drammatico l’impossibilità di essere “centro”, di avere una centralità, o
finanche un riconoscimento di esistenza o di identità, di partecipazione a ciò
che i mille centri fuori (e forse per questo altrettante provincie) andavano
elaborando. Le caratteristiche artistiche soprattutto degli ultimi cinquant’anni però non legittimano nessuno a parlare di “arte abruzzese” o “cultura abruzzese” l’identità dell’Abruzzo, ma del resto di qualsiasi località, non è identificabile nelle immagini esaltate del folclore, come si credette forse ai tempi del cenacolo michettiano o anche nell’esperienza di Basilio Cascella.
Lo studio ha sottolineato l’urgenza di dare un’identità e riconoscibilità ai processi
attraverso cui si è costituita la sua cultura, affrontando scientificamente le esperienze che vi sono nate, che prima di tutto hanno fatto fatica ad essere riconosciute anche al proprio interno: ne viene fuori innanzitutto che è più giusto parlare di arte “dall’Abruzzo” o “in Abruzzo”, perché, alla prova degli
studi, gli artisti più significativi mostrano di aver sempre dialogato profondamente con altri orizzonti culturali nazionali o che addirittura, sul territorio si sono avute esperienze organizzative ed espositive di assoluta
originalità e di rilevanza storica. Ma nonostante questa conoscenza e riflessione le vicende biografiche degli artisti, testimoniano che non si può essere “grandi” in Abruzzo: bisogna provare se
stessi fuori, lontano. Per chi vive nei centri o in aree ad essi storicamente limitrofe, non esiste in modo così rilevante e determinante il problema del “trovare identità”, del provare a dimostrare di esistere; basta un minimo scarto spaziale per essere in “un centro”, senza doversi sradicare da niente, se non
dalle proprie paure private. Paradossalmente il “provinciale” arrivato in un centro, deve combattere una battaglia personale contro il … “provincialismo del centro” ovvero l’incapacità di comprendere ciò che non è ad esso omologabile.
L’assenza di una riflessione adeguata su quello che sul territorio andava accadendo,
l’assenza di un pubblico di riferimento a fatto si che la principale necessità dell’artista formatosi in loco, divenisse quella di essere riconosciuto, ma questo poteva difficilmente darsi nel proprio contesto, dapprima senza grandi sbocchi e in seguito “colonizzato” dalla cultura “dei centri” più organizzate, meglio definita. Ne vien fuori che Dall’Abruzzo ci si sradica completamente se si vuol essere “centrali”, ci si tira fuori e per far ciò si arriva nei “centri” semivuoti di se stessi, in luoghi mentalmente distanti e li, viene chiesto di dimostrare una qualche identità o di omologarsi al coacervo di situazioni che il centro raccoglie. Dopo aver fatto le proprie scelte, ci si accorge di quanto inutile fosse stato il gioco e allora si prova a ritornare, vivendo infine come a metà. La vicenda culturale e umana di Ennio Flaiano mi sembra paradigmatica, almeno in uno sprazzo di un suo diario. “ Perché ad una certa età è difficile tornare, anzi restare dopo esservi tornato, nel paese natale. I tuoi compaesani sono à la
page, tu sei rimasto indietro nella grande città. Tu sogni la vita semplice, le amicizie senza implicazioni, sei nelle buone letture, hai capito che l’oro è la
merda del diavolo (oh, la ripugnanza nel ricevere un assegno da versare in banca!): lì invece credono ancora che la felicità sia nel darsi da fare, sia
altrove.” (1) E. Crispolti,
Alternative attuali / Abruzzo 87, in: Alternative attuali / Abruzzo 87, Mazzotta, Milano, 1987, p. 11 e segg. (2)“ … ove si formulano circostanze di “imprinting” antropologico culturale specifico che proprio nel dialogo nazionale contribuiscono a caratterizzare la grande varietà e ricchezza del nostro patrimonio artistico, anche contemporaneo.”
Ibidem., p. 12
(3) (4) questo percorso si è sviluppato in relazione ad alcune mie pubblicazioni che sono qui costretto a citare per correttezza di metodo e non (mi si creda) per autopromozione: “Dall’Arte all’Uomo” a cura di A. Zimarino, Teatrarte 1999 (CdRom), Teatro D’Annunzio, Pescara 1999; ZIMARINO, A. “L’intelligente percorso di una passione: le Biennali d’arte a Penne dal 1967 al 2000” in: “Overture/Opening” Xva Biennale d’Arte Città di Penne 2000 – 2001”, a cura di A. Gasbarrini, Cogecstre ed., Penne, 2001. Pp. 99 – 101; p. 102 – 106; ZIMARINO A. “Abruzzo: la generazione di nessuno” in “Adriatico, le due sponde” 52° Premio Michetti, a cura di A. Vettese, Charta, Milano, 2001, pp. 62 – 67; A.ZIMARINO, Identità dell’Arte in Abruzzo, Tracce Ed., Pescara, 2003; Vicende, testimonianze e contesto di una esperienza Italiana: Il Liceo Artistico “G. Misticoni”, Interviste e apparati storico-critici a cura di A. Zimarino, Provincia di Pescara – Mancini ed., 2004.
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